Sii sicuro di essere capito!

Sii sicuro di essere capito!

sicuro di essere capito!

Un Comandante diede queste direttive al suo Comandante in 2°:
“Domani sera verso le 20.00 la Cometa di Halley sarà visibile in questa zona: questo evento avviene ogni 75 anni. Faccia in modo che gli uomini si riuniscano, in tenuta da lavoro, nel piazzale ed io commenterò questo raro fenomeno. In caso di pioggia, non potendo vedere niente, faremo l’assemblea nella sala cinema dove sarà proiettato un documentario sull’argomento”.

Il comandante in 2° riunì i Capi Reparto:
“Per ordine del Comandante, domani alle 20,00 la Cometa di Halley apparirà sopra il piazzale. Se piove, fate uscire gli uomini in tenuta da lavoro e conduceteli alla sala cinema dove si verificherà il raro fenomeno, questo accade una volta ogni 75 anni”.

Gli Ufficiali riunirono i Sottoufficiali:
“Domani alle 20,00 il Comandante apparirà in tenuta da lavoro nella sala cinema con la fenomenale Cometa di Halley, cosa che avviene ogni 75 anni. Se piove il Comandante ordinerà alla Cometa di andare in piazzale”.

I sottoufficiali impartirono le istruzioni finali ai loro uomini:
“Quando domani alle 20,00 pioverà, il fenomenale Ammiraglio Halley dell’età di 75 anni, accompagnato dal Comandante, condurrà la sua Cometa attraverso il piazzale”.

Lascio a voi il finale

Finale A

Con una semplice comunicazione scritta, questa catena di messaggi distorti sarebbe stata evitata!

Finale B

Con una semplice comunicazione scritta, questa catena di messaggi distorti sarebbe stata evitata?

Metodo Konmari

Metodo Konmari

Oggi ho deciso: utilizzo questo metodo. Voglio vivere nella semplicità. Le azioni importanti in questa vita sono veramente poche: la gestione o progettazione del tempo, la scelta delle persone con cui stare, il potere del dono e del xdono. Il metodo Konmari mi aiuterà.

Di seguito, le 10 regole irrinunciabili del Metodo Konmari:

  1. Riordinare la casa è un evento speciale. Abituati a riorganizzare tutto in una volta sola, senza suddivisioni per ambiente. Senza temere il famoso “effetto boomerang”.
  2. Riorganizzare per categoria? Certo! Riordinare con questa modalità è un ottimo modo per mettere a fuoco le categorie di oggetti in nostro possesso, in qualsiasi ambiente della casa si trovino.
  3. Non avere paura di buttare via. L’effetto catartico del sapersi liberare dell’eccesso ti sorprenderà, e darà nuovo valore a tutto ciò che rimarrà con te. Le carte in casa sono sempre moltissime: metti i documenti in salvo, tutto il resto nel cestino. Conserva solo ciò che ti è strettamente utile.
  4. Seleziona gli oggetti che ti regalano un’emozione positiva. Impara a volerti bene, selezionando solo gli oggetti che racchiudono ricordi “sani”, che ti rispecchiano ancora e ti danno forza e ottimismo. Elimina le zavorre emotive.
  5. Fotografie: cerca di non essere troppo sentimentale, mantieni solo quelle più significative, e concentrati sul futuro.
  6. Impara a volerti bene anche tra le mura domestiche, quando rimani sola con te stessa.
  7. Regala quei libri che stazionano sui tuoi scaffali da tempo, aspettando di essere letti. Se non li hai ancora letti, probabilmente non lo farai mai. Regalali! (E abbandona i sensi di colpa)
  8. Diffida di divisori e contenitori, diventeranno presto ricettacolo di oggetti inutili.
  9. Una volta ottenuto l’ordine desiderato in casa, impara a mantenerlo giorno dopo giorno.
  10. Svuota la tua borsa a fine giornata. Scontrini, flyer, biglietti: la borsa è il luogo del disordine per eccellenza.
La storia delle cento scimmie

La storia delle cento scimmie

Quando abbiamo un’intuizione ci sembra di essere unici e illuminati, tanto da pensare addirittura di voler brevettare quell’idea o quel prodotto.

Vorrei raccontarvi la storia delle 100 scimmie. È chiamato anche il fenomeno della centesima scimmia è un evento paranormale.

Lo scrittore inglese Lyall Watson dichiarò di avere osservato questo fenomeno, per la prima volta, nel 1979 nell’isola giapponese di Koshima. In realtà, si tratta di un mito.

Un carissimo amico mi diceva sempre che quando una persona qualunque ha un’idea anche altre 200 persone nel mondo hanno avuto la stessa idea. Personalmente ritengo che il primo che riesce a realizzarla e a metterla in pratica può “coprire” le quote di mercato per un buon ottanta per cento.

La storia è questa: Si racconta di una tribù di macachi che viveva sull’isola di Koshima. Mangiavano patate dolci intrise di sabbia. Ad un centro momento della loro evoluzione alcune di loro cominciarono a lavarle e a pulirle dalla sabbia per gustarle meglio.

Quando la centesima scimmia imparò a pulirle anche tutte le altre scimmie dell’isola assunsero lo stesso comportamento. Quello che ha dell’incredibile è che anche tutte le altre tribù di macachi di altre isole che non erano mai state in contatto per alcun motivo si comportarono nello stesso modo.

Questo aneddoto e questa scoperta potrebbero farci comprendere che esiste una connessione tra i macachi e che potrebbe esserci anche nell’essere umano.

Di seguito troverete un video che vi racconta la storia.

 

<iframe src="https://player.vimeo.com/video/221703122" width="640" height="380" frameborder="0" webkitallowfullscreen mozallowfullscreen allowfullscreen></iframe>

la firma – di Piero Chiara

la firma – di Piero Chiara

Favoloso elzeviro dal Corriere della Sera, Mi ricordo di quante volte ho parlato di quest’articolo. Per me è un opera d’arte. Spettacolare, vi farà riflettere.

Quando si sente dire che un capufficio firma in un giorno trenta o quaranta lettere, che i dirigenti d’azienda, gli impiegati di banca o i funzionari dello Stato adoperano addirittura una firma ridotta ad uno sgorbio chiamato sigla per sottoscrivere ordini di servizio, buoni di consegna, certificazioni d’incasso, passaggi di valuta o di merce su centinaia di bollette e di moduli, ci si rende conto che l’uomo oggi firma con la stessa facilità con la quale fuma, tossisce, beve, soffia il naso o sputa, cioè senza riflettere, e soprattutto senza dare importanza alcuna all’atto che sta per compiere.

Ben altra cosa era il firmare fino a un po’ di anni fa. Intanto, nessuno firmava in piedi, come fanno oggi i vigili urbani, i ferrovieri, i destinatari di una raccomandata o d’un pacco e moltissimi magazzinieri o controllori, i quali si servono di blocchetti donde spiccano senza posa tagliandi con tanto di firma o sigla, mandandoli qua e là, come foglie portate dal vento.

La firma era, fino a non molti anni fa, una cerimonia vera e propria, che veniva compiuta quasi sempre in presenza di testimoni attentissimi, davanti a notai o magistrati, e a suggello di impegni assunti per tutta la vita. Nessuno sottoscriveva col cappello in testa o con indosso un cappotto. Chi firmava doveva mettersi a suo agio, ben seduto, non impedito dal giromanica d’un soprabito, col polso ben sciolto e, se era il caso, dopo aver inforcato un paio d’occhiali.

Era comunissimo, di persone anche d’importanza ma che non firmavano tutti i giorni, il compiere, prima di affrontare la carta bollata, un prova di scrittura sopra un foglietto qualsiasi. La prova serviva ad alleggerire il pennino di un possibile sovraccarico d’inchiostro che avrebbe potuto causare una macchia, una di quelle macchie dai bordi frastagliati e con una corona di spruzzi che gettavano l’angoscia nel cuore del firmatario; ma più che a riparare le conseguenze di uno sregolato intingere, lo sgorbio fatto come a caso su un pezzo di carta straccia a scaricare la tensione dello scrivente e a dar l’avvio al gesto fatidico della firma, col ghirigoro o lo svolazzo che la completava e la personalizzava.

Colui che firmava, poggiava una mano aperta sul foglio per tenerlo fermo, piegava il capo sul piano del tavolo, strabuzzava gli occhi e iniziava l’operazione senza poter trattenere una smorfia della bocca o delle guance, che seguivano con stiramenti o contrazioni l’andamento della mano, i suoi inceppi, le sue soste e la sua corsa finale verso un paraffa che riusciva sempre uguale o quasi, e si presentava, nel suo disegno astratto, come la sintesi grafica di un carattere, di un temperamento.

Innanzi alle corti di giustizia, davanti ai notai, agli ufficiali dello Stato Civile o a quelli di polizia, non era raro assistere alla firma di un popolano o di un contadino, la quale non era meno solenne e laboriosa di quella di un notabile. Il contadino, al quale fin dall’infanzia veniva raccomandato di non mai firmare e di non mai giurare, e che sapeva per esperienza sua o di suoi consanguinei quanto fosse irrimediabile l’impegno sottoscritto, avvicinandosi al tavolo dove l’aspettavano carta penna e calamaio, si sentiva mancare, Uomini che reggevano due buoi aggiogati all’aratro, che piegavano un ramo grosso quanto un braccio d’uomo, che con la vanga o la zappa rompevano e rivoltavano la terra, quando avevano nelle mani la penna sembravano aggravati da un peso insopportabile. Spesso, dopo aver vergato faticosamente la prima lettera del proprio cognome, alzavano il viso sfiniti come dopo un salasso e sulla loro fronte apparivano gocce di sudore. La fatica necessaria a costringere il braccio e la mano ad un troppo piccolo movimento, e la stessa necessità di uno spostamento contenuto della penna, rendevano ardua l’impresa.

Ma alle costrizione fisiche si sovrapponevano, ben più gravi, le repulsioni morali: la consapevolezza di assumere un impegno dal quale non si sarebbe mai potuto recedere, e l’impressione di abbandonare in mano altrui e non sempre amica o fidata qualche cosa di così intimamente legato alla persona, come è il geroglifico inimitabile del proprio nome e cognome. Ne veniva un complesso di inibizioni, di timori repressi, di nefaste previsioni per il futuro che formavano, sulle spalle di colui che firmava, un peso più grave di qualunque altra somma. E raro non era che da una di quelle firme scaturissero guai, perdite di danaro, alienazioni di proprietà, gravami di servitù prediali o di usucapioni, spostamenti di assi ereditari, cessazioni di consuetudini vantaggiose o d’altri privilegi faticosamente acquisiti nel tempo.

L’antico detto “Datemi due righe di un galantuomo e ve lo manderò in galera” era trapassato, col conforto di esempi infiniti, nella norma del non firmare mai né per bene né per male. Ma diventava inevitabile, anche nella vita del contadino più cauto e più lontano dai negozi, l’apporre qualche firma: il dì delle nozze, al momento di una compravendita o alla fine della vita, quando occorreva provvedere ad una equa divisione dei propri beni. Casi estremi, occasioni e date memorande che la forma incoronava come un magico emblema, ma sempre con una certa diffidenza, come è di ogni cosa simbolica.

 

L’uomo, fin dai tempi della sua vita primitiva, dovette sempre temere di lasciare l’impronta del piede o della mano, alla vista della quale poteva venir riconosciuto, localizzato, scoperto e messo in pericolo. Col passare del tempo e col sopravvenire dei costumi civili, gli subentrò il timore di lasciare quell’altra incancellabile e innegabile traccia di sé che è la firma. Affidare ad estranei ciò che pertiene alla propria personalità è cosa alla quale rilutta ogni persona saggia; tanto è vero, che gli antichi imperatori della Cina, alla fine di ogni anno, volevano di ritorno tutti i rescritti inviati ai governatori delle loro provincie.

Solo i poeti gli scrittori, gli artisti e in genere gli uomini di qualche notorietà, distribuiscono firme a destra e a sinistra, favorendo cacciatori d’autografi, fanatici seguaci e ammiratori che vogliono portarsi a casa un frammento, una scaglia, dell’essere umano che hanno in qualche modo divinizzato.

Il rilasciare autografi è infatti un dare qualche cosa di sé, un concedere al culto una particola della propria essenza perché fortifichi e consolidi la devozione dei fedeli. Il che, se si giustifica in chi si crede oggetto di venerazione o almeno di “tifo” come l’artista e lo sportivo famoso, non ha senso per persone oscure, che da un segno propalatore della loro presenza nel mondo possono aspettarsi soltanto danno e nocumento.

I selvaggi che Magellano andava conoscendo nel suo viaggio intorno al mondo, nelle loro ingenuità credettero diabolica l’operazione dello scrivere; e il simile pensarono sempre padri e madri, fino al Settecento, se è vero che alle fanciulle non veniva insegnato a tener la penna per preservarle dai commerci epistolari, pronubi d’altri e più pericolosi commerci. Faccenda di gente infima, che non aveva nulla da perdere, i nobili ritennero lo scrivere, che disdegnavano e abbandonavo a segretari e amanuensi.

Solo oggi, che il leggere e lo scrivere è di tutti, la firma si appone da chiunque senza alcuna precauzione su qualunque pezzo di carta. Ma chi la verga così leggermente e con tanta indifferenza, sembra ormai consapevole della poca importanza che ha il qualificarsi e il farsi riconoscere in un mondo dove le singole personalità hanno perso valore e dove l’uomo si esprime per gruppi, partiti, concorrenti, sindacati, nazionalità, ideologie, razze ed altre categorie, che amalgamo in blocchi consistenze le troppo labili apparenze individuali e le sospingono unite e salde a nuove sorti, magnifiche come sempre e progressive.

Quando il cervello è in anticipo e decide cosa fare almeno sette secondi prima

Quando il cervello è in anticipo e decide cosa fare almeno sette secondi prima

L’inconscio è di sette secondi avanti

Altro che libero arbitrio, è il nostro inconscio a prendere le decisioni, prima ancora che noi realizziamo di averle prese. Il cervello “sa” in anticipo, circa sette/otto secondi, quale azione deve intraprendere, prima ancora che la persona sia consapevole della decisione stessa. Una scoperta sconcertante che arriva dalla Germania, dove un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute per le scienze cognitive di Lipsia, guidati dal neuroscienziato John-Dylan Haynes, ha messo in discussione il principio di “libero arbitrio” nel corso del processo decisionale messo in atto dal soggetto.

Grazie a delle tecniche di risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno osservato che le aree del cervello deputate al controllo dell’azione, si attivano circa 10 secondi prima che intervenga la coscienza. L’esperimento ha coinvolto 14 volontari a cui è stato chiesto di premere un bottone a scelta con la mano destra o sinistra, indicando esattamente il momento in cui la decisione veniva presa.

 

Analizzando i risultati è emerso che la corteccia prefrontale, la parte del cervello coinvolta nelle decisioni, si ‘accende’ sette secondi prima che il soggetto decida di premere il pulsante. E poiché le tecniche di imaging scontano un ritardo di circa 3 secondi, i neuroscienziati ritengono che si possa parlare di un lasso di tempo di circa 10 secondi tra la decisione e la consapevolezza di averla presa.

“Sembra che le nostre decisioni”, ha spiegato John Dylan Haynes, “siano predeterminate dall’inconscio, come se il nostro cervello le prendesse prima di noi”.
Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience, dicono gli autori, può servire a ‘leggere la mente’ in maniera più precisa: “Un giorno potrebbero esserci automobili in grado di capire con largo anticipo se il pilota vuole cambiare strada, ed eseguire da sole il comando”. L’uomo insomma è una semplice macchina biologica e si potrebbe pensare che la stragrande maggioranza delle nostre decisioni, avvengano in modo inconscio. Freud docet!.

Fonte tgcom24

https://sites.google.com/site/hayneslab/people/john-dylan-haynes

http://www.nature.com/neuro/journal/v11/n5/abs/nn.2112.html

 

 

<iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/CT43MogXAjI" frameborder="0" allowfullscreen></iframe>