Un giorno si presentò a Giosuè Carducci, quando era docente universitario a Bologna, uno studente, pregandolo di volergli firmare il libretto di frequenza. “Come si chiama lei?”, gli domandò il Poeta. E quello, timidamente, “Rossi Arturo”. Bruscamente, quasi sgarbatamente, il Carducci gli restituì il libretto senza neppure aprirlo: “Le farò la firma quando avrà imparato a dire correttamente il suo nome!”. Lo studente guardò il professore con aria interrogativa. E il Carducci, ancor più severo: “Per sua regola, si dice e si scrive sempre il nome prima del cognome. L’eccezione è ammessa solo in caso di necessità alfabetiche!”. E il libretto non fu firmato.
La norma tradizionale della nostra lingua vuole il nome collocato sempre prima del cognome. Qualcuno obietterà: e che male c’è a mettere prima il cognome e poi il nome? L’unica risposta possibile è questa: qui non si tratta di una regola trasgredendo la quale si commette un errore, ma di un uso diventato norma comunemente accettata, e che non c’è ragione per non rispettare.
Volendo, c’è anche una ragione pratica per attenerci alla sequenza “nome più cognome”: se mi presentano Alberto Bruno, e la regola non si rispetta, non saprò mai quale sia il nome e quale il cognome di questo signore; e se mi scrive Rosina Alessio potrei restare a lungo nel dubbio se si tratti di un uomo o di una donna.
Tutto questo naturalmente non vale quando c’è la necessità di un allineamento per ordine alfabetico, che ovviamente privilegia il cognome: un registro scolastico, l’elenco dei promossi, dei vincitori di un concorso eccetera.
Anche nei manifesti teatrali, e nei titoli di testa o di coda dei film, al momento degli “E con (in ordine alfabetico): …”, pur essendo gli attori messi in fila secondo l’iniziale del cognome, vedremo scritti prima i loro nomi di battesimo. L’eccezione, dettata da una scelta poetica, furono i titoli di coda del capolavoro di Ermanno Olmi: “L’albero degli zoccoli”. Qui i nomi di personaggi e interpreti scorrevano con il cognome davanti al nome, come in un severo elenco anagrafico. I personaggi erano poveri contadini d’altri tempi, abituati a declinare le proprie generalità con il cappello in mano e sempre con un po’ di soggezione.