Un minuto tutto per me
Non appena ebbe messo piede in casa dello zio, l’uomo ne avvertì il sorriso su di sé; quando si fu messo a proprio agio gli domandò: “Zio, sei felice?”
Lo zio disse: “Sono molto felice, però devo ammettere che è così soltanto da qualche anno a questa parte. Ricordo che vi fu un tempo in cui mi sentivo completamente fuori dalla realtà”.
“Se non è una domanda troppo personale, zio, posso chiederti in che modo sei diventato così felice””
“È facile”, rispose lo zio.
“A dire il vero, ogni qualvolta una situazione si complica e mi si confondono le idee riesco a superare l’ostacolo ricordandomi che se si tratta di una faccenda intricata, quello è già in parte un problema. Se invece è una cosa semplice, allora potrebbe anche risolversi da sola.”
“Un tempo”, continuò lo zio, “la maggior parte dei problemi mi parevano complessi. Una volta trovata la risposta, però, questa di solito si rivelava semplicissima. Anzi, talvolta la risposta è vergognosamente ovvia.”
“La verità nuda e cruda”, concluse, “è che mi sono sentito più felice nel momento in cui ho iniziato a prendermi cura sia di me stesso che degli altri.”
Questo l’uomo non se l’aspettava.
“E che cosa ti ha reso più felice”, domandò, “prenderti cura di te stesso oppure degli altri?”
“Si tratta di due fattori così legati l’uno all’altro”, fece notare l’anziano signore, “che non si possono neppure separare.”
“Penso che il massimo della felicità io lo raggiunga quando riesco a controbilanciare questi due elementi così importanti. Talvolta, infatti, è meglio curarsi innanzitutto degli altri, mentre invece in altri casi è più utile occuparsi per prima cosa di se stessi.”
“Il bello è che la tecnica che adotto per prendermi cura di me stesso in genere è efficace anche con gli altri.”
“In fondo, pensare al nostro prossimo è un modo di prendersi cura di noi stessi, ci dà forza e serenità.”
“Le cose non andavano per il verso giusto perché mi preoccupavo troppo di compiacere gli altri e mi dimenticavo di fare altrettanto con me stesso. Ora mi divido equamente le due parti.”
“E, ironia della sorte, da quando ho preso ad occuparmi maggiormente di me stesso la gente mi dice di trovarsi meglio in mia compagnia. ”
“Io stesso sono più contento di me, e così pure degli altri; e anch’essi mi apprezzano maggiormente, come pure si trovano più a proprio agio in compagnia di se stessi.”
L’uomo era scettico: “Mi pare tutto troppo semplice e troppo bello per essere vero. Forse sto ancora dibattendomi in mezzo a problemi irrisolti, però mi sembra che la vita sia molto più complicata”.
Lo zio rispose: “Non ti biasimo per i tuoi dubbi, ma la verità è che questo segreto è talmente semplice e banale e insieme così efficace che una volta messo in pratica tutti ne traggono benefico!”
Come a voler chiarire ulteriormente il concetto, lo zio scrisse con calma qualcosa su un foglio che poi passò al nipote. L’uomo vi lesse queste parole:
Prima ancora di occuparmi con successo di qualcosa o di qualcuno, devo soprattutto prendermi cura di me stesso.
Lo zio disse: “’Me stesso’ è quello che io sono. ‘Te stesso’”, ammiccò, “è quello che sei tu. Dentro di noi siamo diversi quanto lo sono le nostre impronte digitali. Siamo entrambi unici e speciali, come d’altronde qualunque altro essere umano sulla faccia della terra.
“È di questa ‘essenza’ che ciascuno di noi deve prendersi cura”.
Il nipote chiese: “E perché ha tanta importanza?” siamo più vivi e più sereni. E se ci sentiamo meglio noi, riusciamo anche ad aiutare il nostro prossimo in maniera più efficace.”
Lo zio proseguì: “Alcuni anni fa mi resi conto che il concetto di felicità mi diventava più chiaro se prendevo in esame il suo esatto opposto. Per esempio, che cosa pensi che provino quelle persone che sono così infelici da soffrire sempre di gravi forme di depressione?”
L’uomo rispose: “Probabilmente per loro assolutamente nulla ha importanza, che si tratti di se stessi, della loro prossimo oppure di ciò che li circonda”.
“Verissimo”, convenne lo zio. “Per loro nulla ha importanza. E come credi che si senta chi si trova accanto a una persona per cui nulla ha importanza”.
L’uomo sorrise e disse: “Deve essere piuttosto deprimente”.
Lo zio osservò: “Puoi dunque capire come chi si trascura a livelli così estremi in definitiva non sia utile al suo prossimo. Se si curasse un po’ di più di sé non sarebbe meglio anche per gli altri?”
Mentre l’uomo rifletteva lo zio domandò: “Qual è il primo segnale che indica che un ‘malato’ è in via di guarigione?”
L’uomo capì e rispose: “forse quando ricomincia a prendersi cura della propria persona. Per esempio si pettina”.
Lo zio annuì. “Certo. Chi è sano si prende cura della propria persona. Chi non sta bene non lo fa.”
Poi aggiunse: “E allora, che cosa credi che io abbia fatto?”
Dopo un attimo, rispose da sé alla propria domanda: “Presi a considerare me stesso come un giardiniere. Anche tu, se vuoi, puoi farlo.
“Immagina di essere il giardiniere di un bel giardino situato in una magnifica tenuta: la gente viene da tutto il mondo per ammirare la tua opera.
“Cerca di vedere con gli occhi della mente quanto è elegante il risultato delle tue fatiche. Cerca di immaginare che cosa provi dentro di te. Senti come profuma d’aria”.
Lo zio fece una pausa, lasciando che la scena si dissolvesse. “Come ci si sente a essere un giardiniere del genere?”
L’uomo pensò: “Bene. Mi sento bene”.
Lo zio disse: “So di aver raggiunto un stato di equilibrio quando riesco a individuare tre zone principali all’interno del mio giardino e cioè: ‘Me’, ‘Te’ e ‘Noi’”.
“Cosi”, disse il nipote, “in pratica tendi a vedere te stesso come qualcuno che si occupa del suo Me, del suo Te e del suo Noi”.
“Certo”, rispose lo zio. “’Me’ è me stesso. ‘Te’ è il ‘me stesso’ che c’è in te”, aggiunse facendo un cenno con il capo. “Le tue e le mie necessità sono fondamentalmente le stesse, quindi pensando a te riesco anche a capire ciò di cui il tuo ‘io’ ha bisogno.”
Poi, toccando il mappamondo che era sistemato in un angolo della stanza concluse, “E ‘Noi’ è il tipo di rapporto che si instaura tra me e te, qualunque sia la natura di questo ‘Te’, sia esso un membro della mia famiglia o di un collega di lavoro oppure un estraneo che vive dall’altra parte del globo”.
Lo zio era circondato da un’aura di pace e di energia.
L’uomo sentì che doveva saperne di più. “Mi diresti qualcosa riguardo alla prima parte della tua filosofia, quella che riguarda il prendersi cura di sé?”.
“Usciamo in giardino”, suggerì lo zio. “Godiamoci un po’ di sole.”
Quando fu in giardino l’uomo si guardò attorno: udiva l’acqua scorrere e vide fiori stupendi; ovunque regnavano pace e tranquillità. Ora incominciava a capire in che modo il suo ruolo di giardiniere potesse arricchirlo spiritualmente.
Lo zio rifletté: “Osservando questo giardino è difficile ricordare il tempo in cui ero così infelice”.
“Che cos’è che non andava?” chiese l’uomo.
“Semplicemente trascuravo me stesso. A tutta prima non capivo che cosa non funzionasse. Non riuscivo neppure a godere dei miei successi, della mia famiglia, degli amici.
“Poi, considerando la cosa più da vicino, compresi che il lavoro contava più della famiglia, e che la famiglia contava più di me stesso. Insomma, il mio equilibrio vitale stava andando a rotoli soltanto per colpa mia.”
L’uomo chiese: “E allora che cosa facesti?”
“Una cosa banalissima: incominciai a prendere l’abitudine di interrompere ciò che stavo facendo più volte al giorno per dedicare un minuto tutto a me stesso.”
“Un minuto non è poi molto”, protesto l’uomo.
“Eppure è abbastanza per darti la felicità”, replicò lo zio. “Dai un’occhiata all’orologio, poi mettiti tranquillamente a sedere e non guardarlo più finché non ti pare che sia trascorso un minuto esatto – non un secondo di più e non uno di meno.”
L’anziano signore attese che il nipote portasse a termine l’esperimento in tutta calma. Sapeva che cosa sarebbe accaduto.
Dopo quello che gli era parso un minuto, il nipote guardò l’orologio. Era sorpreso: “Soltanto trentotto secondi! Esclamò. “Un minuto è più lungo di quanto pensassi”.
Lo zio sorrise: succedeva sempre così. “Se ci fermiamo e ce ne stiamo tranquilli, un minuto è un periodo di tempo piuttosto lungo.”
“Perché poi un minuto?” domandò il nipote.
Lo zio spiegò: “Perché una pausa di un minuto trascorsa in compagnia di noi stessi ci consente prima di tutto di prendere coscienza di ciò che stiamo facendo e in seguito ci permette di scegliere il metodo più efficace per prenderci cura di noi stessi e degli altri.
“A parte tutto ciò che faccio per curarmi di ‘Me’ di ‘Te’ e di ‘Noi’, è quel minuto in più che dedico a me stesso e agli altri che cambia davvero tutto quanto”.
L’uomo voleva sapere di più. “M come fai?” chiese.
Lo zio disse: “Non faccio altro che fermarmi e ‘mi’ domando in tutta calma: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante? Sembra incredibile, però funziona.
“Quando mi concedo queste pause, riesco a intravedere una soluzione migliore, e appena posso la metto in pratica”.
“E come fai a prenderti cura del tuo ‘Te’ in un minuto solo?”
“Incoraggio Te – il ‘Me’ che c’è in ‘Te’ – a vedere che siamo l’uno uguale all’altro. Anche tu hai bisogno di prenderti cura di te stesso. Allora ti invito a fermarti per un minuto e a domandarti con calma ciò che io domando a me stesso: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?
“Questo perché anche tu hai la risposta dentro di te”, concluse lo zio. “E anche tu meriti di poterti arricchire spiritualmente.”
L’uomo chiese: “E come ci si prende cura di ‘Noi’?”
“Io incito ciascuno di noi a dedicare un po’ di tempo a se stesso e a domandarsi: Sto forse pretendendo l’impossibile dall’altra persona oppure dal rapporto che ci lega? Sto forse chiedendo a questa persona di prendersi cura di me, oppure abbiamo entrambi intenzione di dedicarci maggiormente a noi stessi migliorando così il nostro rapporto?”
Il nipote ebbe un dubbio: “Ma com’è possibile che un metodo così semplice e spiccio sia tanto efficace?”
“Vedi”, disse lo zio, “prendere in esame il proprio comportamento oppure i propri pensieri per un minuto, ma seriamente e senza indugiare, porta a un risultato validissimo, perché in questo modo siamo in condizione di ascoltare la voce della saggezza che c’è in noi.
“Fermarsi più volte nel corso della giornata prendendo in considerazione ciò che si sta facendo è come guidare in città e fermarsi agli stop. Gli stop ci aiutano a giungere sani e salvi a destinazione.”
L’uomo comprese. “Certo, perché se ci fermiamo e ci guardiamo attorno evitiamo di andare a sbattere da qualche parte e di farci del male.”
“Sicuro”, disse lo zio. “Mi fermo, mi guardo attorno e vedo che ho possibilità di scelta. Posso proseguire oppure cambiare direzione oppure ancora fare tutto ciò che ritengo più opportuno per il mio bene.
“E poi”, aggiunse lo zio, “sarà più difficile che vada a sbattere contro altre persone che transitano al mio stesso incrocio facendo loro del male. In questo modo aiuto me stesso e gli altri.
“Dedicare un minuto a me stesso, quando me ne ricordo, si è rivelato un metodo infallibile del mio caso.
“Quasi sempre trovo che la risposta al mio problema è dentro di me. La verità è che ciascuno di noi sa che cosa è meglio per se stesso. Basta soltanto prendersi una pausa sufficientemente lunga per riuscire a scoprirlo.”
L’uomo incomincia a rendersi conto che probabilmente lo zio sapeva qualcosa che valeva la pena ricordare. Si armò di carta e penna e chiese: “Ti dispiace se prendo nota di alcune cose?”
Lo zio si fece più preciso. “Incominciamo dal principio, dal prendersi cura di “Me”. Poi passeremo a quello che secondo me è un livello superiore, e cioè prendersi cura di ‘Te’, e infine a prendersi cura di ‘Noi’. Come vedi, ciascun livello si fonda sul precedente e questo allo scopo di raggiungere il reciproco equilibrio.”
L’uomo chiese: “Ma tu che cosa fai?”
“Che cosa fare è la parte meno complicata dell’intera faccenda”, rispose lo zio. “Una volta stabilito di fare ogni giorno qualcosa per prendermi cura di ‘Me’, ecco che scopro un’infinita varietà di metodi attraverso cui realizzare il mio proponimento. Cerco semplicemente di occuparmi di me stesso con la stessa frequenza e nella stessa misura in cui mi occupo degli altri.
“Di qualunque cosa si tratti, a ogni modo, mi dà l’impressione che ci sia qualcuno che si prende cura di me, e questo mi rende felice.
“È probabile, tuttavia, che quel che tu fai per te stesso sia diverso da quel che faccio io. In effetti, caro nipote, una parte della gioia che si prova consiste proprio nell’individuare quel meccanismo che è efficace esclusivamente nel nostro caso.
“Personalmente, la mia ricetta può variare di settimana in settimana; in genere, però, inizia sempre allo stesso modo.
“Per prima cosa mi concedo un minuto da dedicare tutto a me stesso nel corso della giornata e poi mi domando: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?
“Una volta stabilito questo, poi tutto dipende da quel che sto facendo, oppure da ciò che mi passava per la mente al momento di formulare la domanda. Di solito si tratta di qualcosa che modifica il mio comportamento oppure il mio modo di pensare.
Il nipote chiese: “Non potresti fornirmi qualche esempio più concreto, zio?”
“Sicuro”, disse lo zio, “ricordo ancora quando mi pareva di non avere abbastanza tempo da dedicare a me stesso durante il giorno.
“Tutto ciò mi irritava parecchio, ma proprio allora mi concessi un minuto di pausa ed esaminai con calma la situazione. Così decisi che invece di tenere il muso mi sari alzato un’ora prima al mattino. Quell’ora sarebbe diventata la ‘mia’ ora e ne avrei fatto ciò che più mi piaceva.”
Lo zio sorrise. “Ricordo la prima volta che tentai l’esperimento. Ero stanco e non volevo affatto alzarmi dal letto. Rammento che ancora mezzo addormentato mi domandai: ‘Ma non ci sarà un altro modo”
“Stabilii di alzarmi soltanto quindici minuti prima del solito, aumentando la dose ogni settimana per quattro settimane di seguito. In capo a un mese avevo un’ora tutta per me ogni giorno.”
“E che cosa facevi in quell’ora?” chiese l’uomo.
“Non è questo il punto”, disse lo zio. “Non ha nessuna importanza. Ciò che importa veramente è che tu faccia qualcosa per te stesso”.
Lo zio allora ribadì la propria affermazione così da sottolineare il concetto.
“Ciò che si fa non ha importanza. Sono le piccole cose che modificano l’esistenza, piccole cose di cui magari nessun altro si accorge.”
Poi lo zio disse: “Quando sono esaurito, quando mi sento sopraffare dagli avvenimenti e mi viene a mancare la visone globale delle cose, mi pongo un’altra domanda semplicissima: ‘Ma in capo a dieci anni tutto questo avrà ancora importanza?’”
L’uomo fece un cenno del capo. “Scommetto che ora come ora le piccole cose senza importanza sono meno di prima e ti senti anche più sereno.”
“È vero” confermò lo zio.
“E faccio un’altra cosa”, aggiunse l’anziano signore. “Rido: più rido, più mi sento vivo e felice. Ricordo di aver ascoltato alla radio un fantastico programma di varietà. Ho riso così di gusto e mi ha fatto sentire così bene che mi sono comprato l’audio per ascoltarla in auto. In questo modo mi posso godere il programma mentre guido e viaggiare di buonumore.”
L’uomo disse: “Ricordo che eri una persona serissima; ora invece ridi molto più spesso. Che cosa ti è successo?”
Lo zio rispose: “Fortunatamente avevo un amico con un gran senso dell’umorismo. Osservandolo mi sono reso conto di come questo avesse migliorato la sua esistenza. Anche lui, come me, era oberato dal lavoro, eppure ciò non pareva pesargli. Allora ho deciso di abbracciare anch’io quella sua filosofica così scanzonata.
Rammento una volta che ero proprio giù e il mio amico mi domandò che cosa mi sentivo. Risposi che avevo una gran voglia di nascondermi.
“’Benissimo’, disse lui. Poi mi chiese se in casa avessi un ripostiglio. Certo che lo avevo. Allora lui disse: “È il posto ideale’. ‘Per che cosa?’ domandai io.
“’Per nascondersi’, disse lui. ‘Vai nel ripostiglio, portati dietro un sedia bella comoda e chiudi la porta.’”
Lo zio rise e proseguì: “Ben presto mi resi conto di quanto il mio piccolo dramma fosse ridicolo e smisi di rimuginarci sopra.”
“Così, ridere di se stessi è un buon modo di prendersi cura di sé”, osservò l’uomo.
“Si, certo”, fece lo zio. “Anzi, ti dirò di più, io rido in compagnia di me stesso. Mi diverto alle sciocchezze che faccio, alle mie imperfezioni, al mio essere ‘umano’.
“Però c’è un trucchetto”, aggiunse lo zio.
“Qual è?” chiese l’uomo.
“Quando mi prendo troppo sul serio”, disse lo zio, “come ovviamente facevo un tempo, allora immagino che su in cielo ci sia un Dio che si diverta a osservarmi perché gli piacciono gli uomini e anche perché mi vuol bene davvero.
“All’improvviso scoppia in una risata e grida rivolto a uno dei suoi compari: ‘Ehi, vieni qui. Guarda un po’ che cosa sta facendo lo zio! Che sagoma!’”
L’uomo rise: “Me ne ricorderò”.
Lo zio proseguì: “Ridere di me stesso e fare qualche piccola cosa tutta per me mi fanno proprio sentir bene”.
Poi aggiunse: “Ma tu volevi degli esempi. Talvolta cambio abitudini e salto il pranzo. Faccio una passeggiata, oppure mi compro una piccola cosa. Ricordo che una volta addirittura andai in una pinacoteca alle undici del mattino, per poi ritornare in ufficio a lavorare durante la pausa del pranzo.
“Intraprendo delle piccole spedizioni nei dintorni. Vado in posti in cui non sono mai stato prima soltanto per scoprire che cosa provo a essere là. Magari si tratta di una zona della città che di solito non frequento, oppure di un negozio in cui non ho mia messo piede. Il cambiamento mi fa sentire vivo e sviluppa il mio senso dell’avventura.